L’olio di palma è l’olio vegetale più usato al mondo. Nell’industria alimentare ha sostituito di fatto i grassi idrogenati, considerati dannosi per la salute, ed è impiegato in decine di migliaia di prodotti, a cominciare da quelli per la colazione, le creme spalmabili, i brodi, le zuppe e alcuni piatti pronti.

L’olio di palma si usa perché: è economico, stabile, non altera il sapore, permette buona conservazione e consistenza dei cibi. Ma da qualche anno questo ingrediente così diffuso è sotto processo. Al punto che per venire incontro ai dubbi e alle paure dei consumatori sulla sua presunta pericolosità, numerosi marchi di biscotti, prodotti da forno e cibi pronti lo hanno sostituito con altri grassi, apportando sulle confezioni la rassicurante dicitura “senza olio di palma”. Ma l’olio di palma è davvero dannoso per la salute?

L’olio di palma: perché si usa

L’olio di palma si ricava dalla polpa dei frutti della palma e, successivamente, viene sottoposto a un processo di raffinazione che ne migliora le caratteristiche organolettiche. Secondo Osservatorio Alimentare, la piattaforma digitale dedicata al settore agroalimentare italiano, il nostro Paese ne importa 1.600.000 tonnellate l’anno, di cui il 21% viene impiegato nell’industria alimentare.

Viene usato perché ha un sapore e una fragranza neutri. È in grado di garantire croccantezza o cremosità ai prodotti e può essere utilizzato in alimenti cotti ad alta temperatura perché riesce a resistere all’ossidazione. È decisamente più economico dell’olio d’oliva. La sua elevata stabilità, infine, lo rende adatto a conservare in maniera più efficace gli alimenti, riducendo gli sprechi. Ma è finito nel mirino di chi sulla tavola proprio non lo vuole. Perché? Bisogna distinguere due ambiti: da una parte c’è l’ambiente, dall’altra la salute.

 Olio di palma, la sua coltivazione intensiva è una minaccia per l’ambiente

Se parliamo di ambiente, i dubbi sulla sua sostenibilità sono legittimi. La larga diffusione dell’olio di palma nel mondo ha fatto sì che una incredibile quantità di aree boschive del pianeta sia stata convertita in terreno destinato alla coltivazione della palma da olio. Dove c’era la foresta pluviale, ora c’è una monocoltura. Questa trasformazione è dannosa per l’ambiente: produce grandi quantità di emissioni di CO2 (l’Indonesia è diventato per questo il terzo produttore globale di gas serra) e ha un costo altissimo in termini di biodiversità. La deforestazione minaccia di estinzione gli animali che abitano quelle regioni, come gli oranghi, diffusi soltanto in quella parte del globo.

L’olio di palma: è dannoso per la salute?

Per quanto riguarda la salute, la demonizzazione dell’olio di palma è in gran parte alimentata dal sentito dire e basata su convinzioni personali. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’olio di palma non è più dannoso di altri tipi di grassi saturi e dunque non ci espone a rischi cardiovascolari o ad un aumento dei valori del colesterolo nel sangue più di altri alimenti simili (il burro ad esempio).

Perché allora si è puntato il dito soltanto contro l’olio di palma e non su altri tipi di grasso? La ragione principale è forse la pubblicazione, nel 2017 da parte dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), di un parere sui glicidolesteri (in particolare il 3-MCPD) che si formano dai trattamenti termici dei grassi e degli olii, tra cui anche dell’olio di palma. Questo aspetto aumentò la percezione negativa da parte dei consumatori.

All’inizio del 2018, però, la stessa Efsa ha rivisto il precedente parere, perché la conoscenza scientifica sui metodi di calcolo è diventata nel frattempo più avanzata, arrivando a una nuova conclusione: “I livelli di consumo di 3-MCPD tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori, ma esiste un potenziale problema di salute per i forti consumatori delle fasce di età più giovane. Nella peggiore delle ipotesi, i neonati nutriti esclusivamente con latte artificiale potrebbero lievemente superare il livello di sicurezza”.

Secondo la Fondazione Veronesi, “piuttosto che puntare il dito contro un ingrediente, converrebbe ragionare sulla qualità complessiva della dieta. Le linee guida consigliano un consumo quotidiano di grassi saturi non superiore al 10% rispetto all’introito energetico complessivo”. E i più piccoli superano spesso quel limite. Conviene, per tutti, incrementare il consumo di olio d’oliva, noci, semi e pesce ricchi di acidi grassi insaturi. E focalizzarci, forse, di più sui problemi evidenti legati al consumo di un alimento: quelli connessi al danno ambientale, nel caso dell’olio di palma, attualmente sono indiscutibili.

(Fonte – paginemediche.it)

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